Ripropongo un mio racconto breve, a suo tempo ospitato gentilmente da Barbara Garlaschelli nel suo precedente blog (ora http://bagarlaschelli.splinder.com) e che quindi credevo perduto, ritrovato, al contrario, in una pennetta che credevo anch’essa perduta e che contiene ben più di questo short. E’ ora del vino nuovo e, pertanto, ci sta. Nel fondo del bicchiere, la malinconia.
D’altra parte l’età è grossa. Che t’aspettavi? che continuasse così, all’infinito, che passasse dagli ottanta ai novanta senza cedimenti, e poi oltre? Novantatre e con la testa quasi del tutto a posto. A posto? Ma se l’ultima volta mi ha scambiata per una mia vecchia cugina morta già da dieci anni? Ma sono dettagli, si è ripresa subito. Ha fatto anche delle battute. Le battute…ma al ristorante ha voluto assaggiare tutto come una bambina capricciosa per poi sputare o lasciare tutto nel piatto, che ancora mi vergogno. Ti vergogni! Chissà cosa diventeremo noi fra qualche anno. Ci pensi mai? No, non ci pensava. Non ci poteva, né ci voleva pensare. Mancavano per la precisione quarantaquattro anni per raggiungere la mostruosa età della madre. Sopravvivere, andare oltre il lecito ed il giusto, rompersi un femore, far dannare tutti, cioè soprattutto lei, la glicemia alle stelle che la faceva periodicamente sragionare, dieci farmaci diversi al giorno, prelievi, flebo. La casa di riposo lontana cinquecento chilometri: perché doveva essere speciale anche nel finire i suoi giorni. L’aveva voluto lei: sto bene qui, voglio starci sempre, non solo in vacanza. Con questa gamba vi sarei di impiccio. E così il pellegrinaggio, ogni quindici giorni, a turno, delle tre sorelle. Due giorni d’inferno, lunghe ore al volante da est a ovest. L’unica cosa che le faceva perdere il malumore e la preoccupazione era il paesaggio. Sempre quello, ma mai lo stesso. Adesso cercava con lo sguardo, per la prima volta, sulle colline a vigneto, una cosa di cui le avevano parlato qualche giorno prima: che i contadini mettevano, in testa ai filari, delle rose che modificavano il sentore del vino. Le era parsa una notizia ridicola. Ma ecco, alla base della collina, a filari alternati, dei rosai. Rose gialle, arancioni. Le parve di sentirne il profumo, le parve di vedere l’essenza delle rose penetrare nel terreno e raggiungere i grappoli, ormai maturi, e trasformarne il succo. Sentì una vicinanza immediata con quelle rose, con quelle viti, con quella terra che si allontanava nella nebbiolina di settembre. C’era stato un tempo in cui lei era la rosa e la madre la vecchia vite. Ora lei era la vite, e la madre il vago sentore di rosa che avrebbe sentito per sempre nel vino.
La porto in cartesensibili e la dedico ad un amico che ospita volentieri incontri di poesia e memorie letterarie. Ciao Lucy.f
[…] https://lunediscrittori.wordpress.com/2010/10/12/di-viti-e-di-rose-2/ […]
me lo ricordo, lo avevo letto da Barbara e mi era piaciuto tantissimo.
ribadisco il gradimento.
cri 🙂
un racconto vivissimo, l’ho letto d’un fiato soffermandomi sui colori che dipinge, come un cerchio che possiamo abitare e che già ci ospita
Elina
grazie a tutti per la sorpresa! mattinata movimentata e tesa: fa piacere trovare messaggi incoraggianti.
grazie.
lu
d’un fiato Lucy, complimenti.
Qui da noi in Franciacorta molti vigneti sono proprio così, con le rose in testa al filare.
Bello davvero, l’avevo letto lassù o laggiù!
Brava, o Lucia
Non lo avevo mai letto, lo trovo molto bello, scivola lentamente dalla descrizione di una realtà sgradevole e pesante da vivere a un acquerello di malinconia. Molto brava, Lucy!
Milvia
grazie anche a falcon, a mario bianco (che col vino ci sta a pennello!) 😀 e a milvia che sono felicissima di avere qui.
lu