L’ho dissepolto da sotto una pila
lì da molto tempo quel libro: l’ennesimo
dei necessari imprescindibili. Fa freddo:
una primavera ostile di sole novembrino
che mi riporta il prunalbo e l’albicocco
tra le molte stecchite piante. Più freddo
ancora tra le pagine, e grigio e bianco che pare
di non poter più respirare. Un uomo
e un bambino col carrello della spesa.
Io e i due a chiederci se
andremo a sud
o ad ovest.
la strada
e…
i tuoi versi-recensione, bella ma bella cosa!
Già. I due porteranno anhe “Myricae” con loro…Non si sa mai.
lo credi, cri, che ho il libro da qualche anno e non l’ho aperto fino ad oggi?
alex: toccherà smettere di giocare a “che cosa porteresti sull’isola” e decidersi davvero? temo che i libri saremo costretti a lasciarli. ma uno, uno almeno… quale?
McCarthy profetico?….
ahinoi!
nessun libro, temo, alla fine di quella strada…
Io credo che ognuno abbia i suoi libri “necessari e imprescidibili”, e che talvolta questi (o uno di questi) sia in comune con altri o altre, magari persone lontano o sconosciute. Ma il libro più necessario e imprescindibile rimane, credo, quello che è scritto nel profondo della nostra anima (o, per gli atei, del nostro inconscio). E’ un libro da cui non si esce se non morendo a tutti gli altri libri, anche a quelli che sono stati, per noi, altrettanti gradini verso quell’unico nostro libro che avremo scritto, o stiamo scrivendo, con il nostro sangue, vivendo.
Grazie per la poesia.
ma l’hai notato? piove piove piove e poi di botto il 21:PRIMAVERA! Calda accogliente,invitante,tanto che persino la nube radioattiva ha deciso di venirci a trovare.Fico no? No,ma neanche albicocche.saranno cilegine allora,quelle sulla torta che stanno dividendosi sulle teste di tutti gli altri.f
carissimo gentilissimo fulvio,
la mia poesia non-poesia ha sempre almeno due cose: in modo più o meno evidente una o più citazioni, e dell’ironia. il tema dell’imprescindibile/necessario è una mia personale polemica – peraltro molto soft – sugli isterismi modajoli in fatto di lettura.
in questi giorni “la strada”, che ho tenuto a bada per un paio d’anni, forse più, sotto la triplice mobile pila che affatica il mio comodino, sapendo che sarebbe giunto il “momento di”, mi ha sussurrato il solito leggimi leggimi leggimi che mi sussurrano i libri.
è una scelta un po’ macabra? epperò mi sto immedesimando quanto mai. e se un libro – favorevoli le circostanze sfavorevoli – ti fa immedesimare, vuol dire che era ora di leggerlo: non un momento prima non uno dopo.
il libro della vita? il mio – io che rido e faccio ridere – gronda sangue.
ferni: è solo una storia di armi di petrolio di puttanieri internazionali. a noi le scorie radioattive, i profughi, la benzina a due euro, i missili in casa, i baciamano, i processi evitati. non sapere dove stiamo se con gheddafi o con i ribelli. 150 anni di storia patria per avere ancora attendismi, traccheggiamenti, trasformismi degni di fregoli. un fregoli in fregola, tipo.
Cara, gentile e per niente pestifera Lucy, sono molto sensibile agli echi novembrini pascoliani, a quella sua “pittura sonora” di paesaggi interiorizzati e simbolisticamente analogici di stati d’animo per lo più malinconici che nondimeno fermano l’incanto di attimi irripetibili e aperti sul mistero che vive oltre la vita. Certo, per specchiarci in un testo poetico (ma anche pittorico o musicale) sono anche necessarie quelle “favorevoli circostanze sfavorevoli” in cui ci ritroviamo per un caso che sembra fatto apposta per noi, proprio in quel momento e non in un altro, ma che, una volta accaduto, è accaduto per sempre. E l’estate, fredda, dei morti, può trasformarsi, grazie alla poesia, nella primavera sognata nell’ora più cupa e fredda dell’inverno.
Anche per chi, come il sottoscritto, vorrebbe essere così gentile come lei mi crede, ma che è, in ogni caso, meno gentile di lei.
Un riconoscente saluto da
F. S.
Confesso di non averlo letto mai neanch’io, McCarthy, ma credo di dove riparare.
eravamo in due, ora resti tu solo. ciò stante lo sbracciamento a destra e a manca che mi diede il cordoglio per tre anni suppergiù, aumentando per contro all’inverosimile l’intenzione di sottrarmi a tale lettura, pur avendo il librino. devo dire che mi sta piacendo.
menomale che ti sta piacendo
a me piacque molto!
Leggete “Figlio di dio” please… poi mi direte
grazie della segnalazione, alex. certo che…oh! ma quante vite per leggere (quasi) tutto?
Anche “Figlio di Dio” è un gran libro, america rurale, rozza e brutale (in qualche senso richiama anche “Suttree”), McCarthy allo stato puro. Però “La strada” è cosi scarno ed essenziale nella minimezza dei personaggi (papà, figlio, e carrello) nell’annichilimento dell’ambientazione (mondo distrutto) da giungere così immediatamente all’osso di ogni questione, al cuore del discorso, nel modo più semplice, senza fronzoli nè orpello alcuno.
Un libro raro. indimenticabile.
oh! carlo.s! t’ha stanato giusto mccarthy, a te!
come ti va?
Di questi tempi un pò sul depresso. Ma si tira avanti, và.
E cercherò di passare un pò più spesso, almeno per salutarti. E già che ci sono saluto anche Cristina, che prima o poi faccio un salto anche da lei.
Fu la lettura il viaggio di una vita
del libro dono di un’anima bella:
seguiva sunset limited, ma poi
venne altro film, paese non per vecchi.
McCarthy: itinerario il mio bizzarro
e un poco invidio l’approccio pensoso
e meditato che hai scelto: daranno
frutti pieni i tempi dilazionati.
dilazionati per forza, i tempi: dopo certe scene bisogna allontanare il libro e sperare di prender sonno, non solo per l’orrore, ma per la sensazione (come quella di cui parla il vecchio viandante sordo di cui ho letto stanotte) che una cosa così possa accadere: un castigo biblico, quasi.
di cosa potrebbe, d’altronde, morire l’umanità, se non di se stessa?