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Archive for the ‘animals’ Category

anche i gabbiani non sono dunque più utilizzabili, care le mie poetesse! non più jonathan livingston né gabbianelle.
sono quegli aggressivi uccelli alla hitchcock, quei turpi esseri spaventosi che incontrai, ormai irrimediabilmente mutati, qualche estate fa, irriconoscibili, il mattino alle sette, alle zattere. grandi come galline grandi, minacciosi, padroni del territorio, aprivano i sacchi della spazzatura, rovistavano abilmente, si alzavano in volo con bucce, resti di carne, spargendo all’intorno detriti rivoltanti.
vuoi mangiare due spaghetti all’amatrice, all’aperto in via dell’anima, in piazza navona, farti lo spritz con due polipetti in campo santa margherita? piomba il gabbiano scafato come un kamikaze sulla forchetta che avvicini alle labbra vogliose, come un’arpia ti scagazza la mensa. 
questi occhi hanno visto in santa margherita fiondarsi sul banco del pescivendolo un gabbiano e ratto agguantare un branzino, pericolosa zavorra, portato su su chissà dove e dove consumato.

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Nutro grande ammirazione per gli intelligenti, i bravi, i profondi, i belli, per quelli che sanno fare cose che io non ho mai nemmeno affrontato. Se sono amici miei li elogio spudoratamente, da innamorata entusiasta. se non lo sono sto ai margini del campo, pronta a raccattare la palla, pur di stare in quell’orbita, respirare grandezza e bellezza. Ma posso essere feroce con i millantatori, quelli di cui, mannaggia a me, sento l’odore stantio della fuffa a dieci miglia; con quelli che mi hanno deluso perché li credevo tra quelli e invece sono tra questi miseri e con coloro che a parole sono umili e disponibili, ma nei fatti si dimostrano opportunisti, trafficoni, maneggioni, pieni di sé. Non ho imparato a mandar giù, a sorridere stampandomi un etrusco sorriso botulinico sulla faccia, né a restare indifferente: non mi sentirete mai darmi delle arie per essere capace di indifferenza e superiorità sulle miserie che le persone sanno esprimere. Ci sto male, peggio per me! Se poi avete l’insana passione a che vi stacchi la testa a morsi, attribuitemi intenzioni che non ho, meschinaggini che sono tutte vostre e che cercate disperatamente di proiettarmi addosso. Sono da prendere così, ormai non c’è rimedio: chi vuole divertirsi, ché con me ci si diverte, si piglia anche il resto del pacchetto: la testardaggine, la franchezza, la ruvidezza, l’alopecia linguistica, tutte cose di cui, peraltro, non vado affatto fiera, poiché è da stupidi aver orgoglio di un pessimo carattere che rende difficile la vita di relazione.

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cani sciolti

guardando a questi ultimi quattro anni, mi rendo conto di quante cose ho intrapreso e abbandonato per disgusto più o meno improvviso. credo che pochi abbiano capito il mio negarmi o sottrarmi, il declinare inviti, il tagliare a volte di netto delle relazioni di amicizia, dei contatti webbici, delle collaborazioni culturali etc. gli è che non so stare con il culo su due sedie, non ho anima di cortigiana, non sopporto catene – sono come il cane di fedro -, mando volentieri a **** in fenicio gli sboroni, i falso-bravi autoacclamatisi con contorno di patatine festose, gli auto-autorizzati alla battuta facile – sempre col/sul culo degli altri – . in breve: sono un’asociale, e in più non vado in giro a questuare alcunché. poi, si pensi quello che si vuole. mi scuso, con chi sa, se sono stata scortese con i miei dinieghi. per il resto, il saluto fenicio è di prammatica. chi vuole ingrugnarsi, s’ingrugni

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animals

le ferite prudono, quando sono in via di guarigione. dal dolore si passa al fastidio. poi resterà un segno. poi nemmeno il ricordo. solo l’amore lascia un solco, una traccia indelebile. tutto il resto è mero accidente, è zavorra che ci ostiniamo a tirarci dietro: ma va lasciata. facendo uno sforzo, sarebbe perfetto liberarsene dal punto più alto raggiunto: e guardare rotolare giù un parapiglia di gambe e braccia, un bolo di umanoidi vocianti (io ci sarò sempre! potrai contare su di me! potevi dirmelo prima! mi sei tanto cara!)
e salutarli con un elegante, fenicio VFNCL

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animals

quel tessuto di complicità, di mutuo soccorso, quel farsi piccoli e indifesi, mentre nell’animo frusciano spire di serpente, mi stritola, mi soffoca, come le fibre vischiose di un anaconda. il cane da sciolto è quasi liquefatto.

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dalla deformazione professionale non si scappa. leggo libri ripuliti da editor(s) (che mi viene in mente, non so perché, visitors) e da correttori di bozze, ma sono tuttavia punteggiati di errori che, un tempo, quando eravamo frequentatori di oratori, avremmo chiamato, sentendoci grandi, “licenze poetiche”: strizzandoci l’occhio. ora questa cosa della licenza poetica è assunta, mi pare, seriamente: della serie che, se leggo e applico le conoscenze linguistiche acquisite in anni e anni di esperienza e di studio assiduo, sarebbe tutto un rosso e un blu: ma e’ mi direbbero “la sciura professoressa”, con aria di compatimento, come se la lingua – che non è quella di gadda, né di pizzuto, né di meneghello, né di parise, né di manganelli, né di vassalli, né di calvino, né di bufalino, financo quella di trevisan ecc. ecc. – fosse qualcosa di adattabile al livello della loro zucca. per prendere congedo dalla lingua, bisogna essere come questi sunnominati, o averne almeno la tempra, il coraggio. la trasgressione altrimenti si trasforma in poraccitudine, senza scampo. che poi cos’è questa storia, chi l’ha messa in giro, che non si deve aggiungere la -d eufonica alla a davanti a vocale? tipo che leggo “a anna”, “a angela”. ma su, eddai.

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vorrei poter pensarla come la maggioranza che in maggioranza preferisce pensare come la maggioranza, ma la penso come la minoranza: non quella che in maggioranza preferirebbe pensarla come la maggioranza con alcune sfumature di distinzione, ma come la minoranza che in minoranza non preferisce niente, pensa qualcosa e basta. poi scopre che non la pensa quasi come nessuno in quasi niente: ed è lì il problema

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Mode

tra le mode comunicative/verbali (cui non scappano nemmeno quelli che potrebbero):
dire a uno che si mostra animato nei confronti di fatti, argomenti, aspetti umani in discussione:

“si sente che c’è della rabbia in quello che dici”.

rabbia? a parte che la rabbia è oggi un sentimento giusto e pio, il sospetto è che venga evocata nel suo senso più corrente e corrivo per prendere le distanze, confinare, impacchettare l’interlocutore troppo hard. in fin dei conti, si dicono cose grosse pour parler: non l’avevi capito? così chi pronuncia/scrive questa formuletta si mette sulla sponda dei saggi e lascia l’interlocutore dalla parte dei ‘fumini’, che, come ognun sa, hanno poca o nulla ratio. come dire: io sono intelligente, tu mica tanto; io sono civile, tu buzzurro; passiamo ad altro, che dici? etc. etc.

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se non vedi dov’è la bellezza che ti mostro quando ti dico che “il fiume appare chiaro nella valle” è una stronzata, mentre “e chiaro nella valle il fiume appare” è un verso immenso, per tutte le cose che ti ho detto e che tu hai già dimenticato; se non capisci la grandezza di chi ti ricorda che la morte fa parte della vita, che ti dice che gli uomini vogliono tutto come dei, ma temono tutto come mortali, ecco, se non percepisci l’essenza di questa proposta, che nessuno ti obbliga a far tua, almeno non deriderla: non far spallucce, non guardarmi come fossi io quella che non capisce. abbi la decenza di assumerti le tue responsabilità, ché sei maggiorenne, puoi votare, diomio! guidi la macchina, puoi bere, andartene di casa senza che nessuno ti possa fermare. ecco, se non ti interessa, non sono io che sono demente: io avevo brividi alla tua età. non pretendo questo: e forse tu pensi che io voglia quel rispetto per me. non lo voglio per me: lo esigo per quei grandi che porto davanti al tuo sguardo vuoto, alla nocciolina rinsecchita del tuo cervello. a loro lo devi, non a me.

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Il massimo della sfida – l’avete notato anche voi? – da parte di adolescenti e giovani si attua per strada. Attraversano all’improvviso, ma non perché siano dei giovani romantici, quello che fingerebbero, tuttavia, d’essere e non saranno mai, ma – tutto calcolato – per avere l’opportunità di guardarti un attimo con severità, tu, di là dal vetro, che hai quasi inchiodato all’improvviso, e prendersi tutto il tempo di attraversare, con comodo, padroni di un brandello di mondo asfaltato, sei metri per due.

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