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Archive for the ‘i miei poeti’ Category

Francesco Tontoli

So tutte le canzoni che canta il merlo al mattino.
Prima ancora che si sveglino i pappagalli del vicino
odo il suo canto dal giardino assonnato qui accanto
cerca rami per il nido e arriva a due passi dal gatto.
Tutto si complica all’alba con la luce d’aprile
la voce sulle cose si apre, invade il cortile.
A volte si schiudono nomi che non daresti
nemmeno a ciò che hai appena sognato.
Per esempio non so proprio cosa fare di questi.
Di uno col pigiama bianco che annusa le rose
Di un’altra ragazza appena sveglia che trascina il silenzio
il silenzio della notte che ancora le sfiora la bocca.

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Il gesto

Sono nato con le montagne
alle spalle e il mare davanti
la mia casa era un divano
che si chiudeva al mattino

I treni che ho visto
non avevano stazioni
qualcuno scendeva
qualcuno si perdeva
qualcuno aspettava

io scrivo dei viaggi
per quelli che si fermano
chi guarda le rose
chi pulisce qualcuno
io affitto parole
tra uno spettacolo e
l’altro

di tutti gesti imparati
col tempo m’è caro
uno facile da tenere a memoria
quello per dire ci vediamo dopo
senza mai dire quando,
né dove,
lasciando aperta
l’attesa

(lino di gianni) 11/3/2014

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C’è questa laguna a metà stanza

dai mobili sommersi
un boccheggiare di cassetti aperti

dentro ci vive una sbiancata d’anni
talvolta un pescatore di minuti

e c’è un pallore d’asma che scolora
il sangue e le correnti
una colonia di fantasmi in ombra
quasi viranti al nero

era corallo e fiamma la mia casa
e la speranza aveva un pugno teso

sogno di me vermiglio s’allontana
sparisce lento al flusso di maree
mi salpa nave
e mi trascina al largo

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Cos’hai conservato dell’essere bambino?
L’elastico del tempo che si tende
e che nelle tue mani vibra
nel lanciarti lassù in alto.
La luce che piove ancora
dalle finestre delle chiese
e che tu ancora calpesti
immaginando piccoli i tuoi passi.
Pesanti sono le ore che cadono
la gravità si posa sul tuo petto
come un affanno senza la rincorsa.
Provi e riprovi quella cantilena
che ti faceva saltare le mattonelle
quando eri felice in un solo balzo.

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Ipermetropia.

L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
credevi fosse acanto
invece era l’ontano.

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Eu son Arnautz qu ‘amas l’aura 
e Chatz la lebre al lo bou 
e nadi suberna contra

Io sono Arnaut che raccoglie vento
e caccia la lepre con il bue
e nuota contro corrente

Arnaut Daniel, “miglior fabbro”

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S’inazzurrano qui gli occhi alle donne
‒ l’età anche delle pietre si fa verde ‒,
raccolgono quel che non si disperde
per l’autunno selvatico di donnole
e lepri, e i faggi d’un colore verde
ramato si rinserrano in colonne
con le foglie al vento prima di perdersi
nel sottobosco accidioso del sonno.

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I fantasmi seduti sulle panchine vuote
ci sentono percorrere i viali
__e siamo noi, invisibili a loro,
vivi come ancora è possibile
nei punti cardinali, negli spazi
ridotti a poco più che commissure__

hanno gli stessi occhi di quando
squillavano colori alle pupille
e garofani rossi tra i capelli.

Siamo noi che passiamo
nel disinvolto incedere da morti
che ci sentiamo caldi ed esistenti
invece siamo nebbie fluviali
in questo esilio__ dove tutto appare
e nulla esiste
intanto che l’inganno ci trattiene

Loro
hanno la vita che li splende

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a mo’ di “pensierino della domenica”, grazie ad Anna Maria Curci

http://poetarumsilva.com/2013/10/20/oskar-pastior-resa-dei-conti/

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Questa poesia non è
per te né per nessuno
non lascia alone
ha l’aut. min. ric.
non odora di chiuso
e poi
non si fa i fatti miei
ha tutte le carte in regola
è ochei.

Questa poesia è bielastica
può essere una esse
o volendo un’ixelle,
questa poesia si stende
come una parte del corpo,
una pelle.

Questa poesia non quadra
il cerchio casomai
si acumina in un rombo,
questa poesia non è
per te che sparirai
prima che tocchi il fondo.

Luigi Socci

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