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Archive for the ‘leggere’ Category

Veggenti

…rivolgeva il pensiero verso l’interno e si rendeva conto che anche quello era pericoloso, che la sua anima era come uno specchio che ti deforma la faccia al luna park. Potresti essere chiunque, qualsiasi faccia. La faccia è pelle e basta. Un caso. In quelle occasioni gli pareva di sfiorare una verità profonda eppure inspiegabile: l’identità è casuale. Ricordava, non molto precisamente, l’allegoria della caverna di Platone in quel libro ostico che è La Repubblica, dove l’umanità è imprigionata in una caverna di ombre in movimento, paralizzata dall’illusione, ma guadagnare la libertà fuori dalla caverna significa rischiare di rimanere accecati, perché la luce è abbagliante. E guadagnare la libertà fuori della caverna significa anche rischiare l’ostracismo da parte di quelli che restano ciechi.

Joyce Carol Oates, L’età di mezzo

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ho vissuto tanti anni senza sapere niente di goliarda sapienza e credo che continuerò così: tanto, in rete, c’è pieno di entusiasti estimatori alla moda che mi mettono certi bei pezzi che è come leggerla. non mi piace abbastanza da cercarne i volumi anche perché le mode, essendo sorpassata, non mi pertengono. dal centinaio di righe che avrò letto, bastevoli a formulare un giudizio webbico, direi che può essere collocata tra gli autori che reputo neo-dannunziani. e dunque, avvitando il post alla proposizione iniziale, ne faccio volentieri a meno.

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ci sono libri che ammettere di aver letto imbarazzerebbe per la loro pochezza e allora certuni dicono ma che scherzi? non li leggo manco morto/a. ci sono libri sui quali tacere una critica goliardica sarebbe come ammettere di gradirli. e tuttavia c’è chi perde tempo a citare, e giudicare, sempre quei tre quattro poveracci, campioni di incassi, e di vacuità a prescindere, non avendoli letti. al contrario ci sono libri che ammettere di non averli letti ti lascerebbe indietro: e a nessuno, in nessun ambito, oggi, piace restare indietro. cosicché si vede l’esatto contrario: un citazionismo disperato sulla stessa inattendibile base di pseudo-lettura (dieci pagine a scrocco alla feltrinelli, comodamente seduti). se facciamo un calcolo approssimativo dei tempi – seri – perché una lettura possa effettuarsi, c’è gente che matusalemme le spiccia casa. l’ipotesi di parlare di ciò che si conosce non la sfiora: e noi appunto abbiamo all’uopo la rete.

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dalla deformazione professionale non si scappa. leggo libri ripuliti da editor(s) (che mi viene in mente, non so perché, visitors) e da correttori di bozze, ma sono tuttavia punteggiati di errori che, un tempo, quando eravamo frequentatori di oratori, avremmo chiamato, sentendoci grandi, “licenze poetiche”: strizzandoci l’occhio. ora questa cosa della licenza poetica è assunta, mi pare, seriamente: della serie che, se leggo e applico le conoscenze linguistiche acquisite in anni e anni di esperienza e di studio assiduo, sarebbe tutto un rosso e un blu: ma e’ mi direbbero “la sciura professoressa”, con aria di compatimento, come se la lingua – che non è quella di gadda, né di pizzuto, né di meneghello, né di parise, né di manganelli, né di vassalli, né di calvino, né di bufalino, financo quella di trevisan ecc. ecc. – fosse qualcosa di adattabile al livello della loro zucca. per prendere congedo dalla lingua, bisogna essere come questi sunnominati, o averne almeno la tempra, il coraggio. la trasgressione altrimenti si trasforma in poraccitudine, senza scampo. che poi cos’è questa storia, chi l’ha messa in giro, che non si deve aggiungere la -d eufonica alla a davanti a vocale? tipo che leggo “a anna”, “a angela”. ma su, eddai.

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quando al massimo esisteva il correttore di bozze, lo scrittore pubblicabile, ma che abbisognasse di rivedere il suo romanzo, riceveva alcune indicazioni dall’editore e si rimetteva – alacremente (mi piace alacremente) – a correggere, cassare, riscrivere, reinventare, rimpolpare, alleggerire, caratterizzare, vivacizzare, spegnere etc. etc. era roba sua comunque: non era la prima redazione, neanche la seconda? ma quello che finiva nelle mani del lettore era opera sua. le redazioni spurie, i manoscritti diventavano roba buona per i filologi, per una disciplina come la variantistica, che, modestamente, la seppi.
ora, domando e dico: ma con certe delusioni cocenti che si provano alla lettura, con chi me la devo prendere? con lo scrittore o con l’editor? e se quello che arriva nelle nostre mani è frutto di spinte e controspinte di questa figura grigia e silenziosa, com’era l’originale? logica vuole che fosse peggiore. e che hanno visto gli addetti ai lavori in un mediocre libro – redazione finale – quando stava allo stadio iniziale, e quindi vicino a orrendo, tale da volerlo pubblicare? mi sa che funziona a spinte e controspinte d’altro genere, mi sa.
tanto, il lettore-fan webbico pronto a sdilinquirsi, si trova come i funghi sotto i pioppi, alle cinque di mattina, lungo l’argine della brenta.

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http://muttercourage.blog.espresso.repubblica.it/cronache_di_mutter_courag/2013/07/kafka-vita-in-comune.html

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A proposito di scrittori&impegno, a me l’affermazione che “gli scrittori hanno solo l’obbligo di scrivere buoni libri” pare così sfruttata, datata, marchiata a fuoco in termini epocali – da un’epoca infame come la presente – che non la posso sentire più, leggerla più senza provare un moto di ripulsa. L’insufficienza grave di quella che, per me, è niente di più di una scusa snobistica a trarsi fuori dall’impaccio di dover spiegare, per esempio, perché X pubblichi con Mondadori,  nonostante i proclami, che non costano niente, di segno politico avverso, diventa un baratro di miseria intellettuale nel momento in cui, alla verifica, questi bravi scrittori di buoni romanzi non sono né bravi né nemmeno accettabili i romanzi. E dunque?  Ditelo ancora, più forte, tutti in coro che l’obbligo degli scrittori è scrivere buoni romanzi e non pronunciarsi, se non con accorato fastidio, proprio se tirati per la giacca, sulla situazione politica, sulla scuola, sulla merda che ci ammorba: a cui, cari scrittori italiani di oggi, molti di voi contribuiscono tecnicamente con romanzi pessimi e moralmente perché non esce nulla dalle vostre bocche se non dei belati. Ammetto che forse è diverso  dire questa cosa misurandosi seriamente con la scrittura: ha ragione Michele Lupo a “rinfacciarmi” questo mio starmene fuori comodamente e criticare senza essere entrata nell’agone. Ma ciò è vero parzialmente: ha qualche diritto il lettore non comune di provare un po’ di delusione di fronte al perdurare di questo grigiore condito di snobismo turriseburneo? O deve solo comprare libri e tacere? Il lettore esiste solo come consumatore? Finiremo per non comprarli più, i famosi buoni libri, così, in quanto non consumatori,  non avremo più pezze d’appoggio per lamentare la cattiva qualità del prodotto, ma nel contempo  contribuiremo a far tacere per sempre quelli che i buoni libri non sanno neanche dove stanno di casa, facendo un grande favore agli scrittori stessi, che amano il silenzio e la concentrazione – infatti stanno (quasi) tutti su FB –  nonché, merito nostro, saranno liberi di pensare tutto quello che credono rispetto alla politica, non dovendo più rispondere a interessi corporativi e di bottega.

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Inutile ad inutile

Pensavo di aver sonno, e invece non ne ho: s’è smarrito nel tragitto tra il divano e il letto. Che si fa? Si legge! E adesso vado a leggere, sicuro: ma prima mi faccio un giretto in rete, come un giro di osterie e baretti nell’ora stanca, mentre tutti stanno chiudendo. Si abbassano palpebre e saracinesche.

Ma quanti post insipidi?

Dò dunque il mio contributo: post insipido su post insipidi, aggiungendo inutilità ad inutilità, fiacchezza a fiacchezza. Sto sbadigliando, è talmente tutto così sciapo che m’è venuto sonno. Lo scopo era questo, non penserete davvero…

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Due libri di narrativa nordamericana: uno del 1961 e uno del 1985. Uno sfuggitomi probabilmente perché, da quello che ho potuto capire, non è apparso all’altezza delle altre opere dello stesso autore e di conseguenza ha ricevuto poca considerazione nel tempo, l’altro non letto perché, pur sapendo della sua esistenza, l’ho evitato accuratamente – anzi ho evitato l’autore in toto – fino a che ho potuto, come spesso mi accade  con i  romanzi di successo. Quando mi pare di aver raggiunto un grado insostenibile di ignoranza in un dato campo, poiché non faccio altro che trovarmi tra i piedi un  certo autore e le sue opere, e tutti a dire grande!, imprescindibile, romanzo “necessario” (a che? io ho campato benissimo senza per ventisei anni e avrei sicuramente campato uguale, anche sul piano emotivo, letterario, estetico, scrittorio per il resto della mia vita, ora che so), allora lo acquisto – e già questo, col senno di poi – e lo leggo. Insomma  la, per me, incommensurabile, inutile, prescindibilissima sòla è

Bret Easton Ellis, Meno di zero, Einaudi

il capolavoro sottovalutato

Bernard Malamud, Una nuova vita, Minimumfax

Forse ci torno, motivando. Ora no, ché mi preme di più il disastro giapponese. Ci tenevo a  fissare due impressioni minime.

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Rispondo con un post a Falconieredelbosco, che me ne ha offerto lo spunto.

Andiamo per ordine, Fausto. Il “pensierino”, o “pensierone”, di oggi è tratto da uno di quei libri della lista dell’altro giorno. Per i pensierini mi oriento a memoria – andando a verificare sul testo – se è roba attempata, trascrivendolo direttamente se mi ci imbatto. Siccome sono un po’ fissata con la questione della qualità di ciò che viene pubblicato, ultimamente mi sono orientata su pensierini dedicati alla letteratura, e questo è uno di quelli, di una semplicità ed evidenza disarmanti, che esprimono quello che penso. Sì, sei andato un po’ fuori tema, perché qui non si parla del valore delle persone, ma del valore delle “opere d’inchiostro”, come direbbe Ludovico Ariosto, e di certe persone, gli scrittori, non di tutte. Né si mette in discussione il valore di una persona a dipendere dal suo grado di cultura e letture. Possiamo anzi ipotizzare una persona non colta che pure abbia letto tanto: di sicuro è ipotizzabile un escremento, dalle parvenze umane, che sia coltissimo, di questi te ne potrei indicare qualche decina. Se fai attenzione le parole invocano libri rappresentativi della vita, romanzi che (cito un altro passo dello stesso libro) “rispondono a tutte le attitudini umane, a tutti i comportamenti, dal più nobile al miserabile. Uno legge e si domanda: cosa avrei fatto io? Deve domandarselo […] è un modo di imparare a vivere”. Per questa ragione per me è importante che i libri mostrino la vita: come, non ha importanza: qualunque genere va bene, non è una questione di genere. La vita deve scorrere in quella storia, deve metterci con le spalle al muro e prenderci a schiaffi nell’anima; deve suscitare delle reazioni, deve farci arrabbiare, ma anche consolare: questo non nel senso della facile consolazione (e vissero felici e contenti), ma nel senso di non farci sentire soli. E questo lo può fare uno scrittore che passa inosservato, come un grande autore, o uno che almeno sia considerato tale. Certo, chiunque potrebbe a questo punto dirmi che una persona di scarso orizzonte può sentirsi in buona compagnia con un romanzetto della serie blue moon, un romanzetto “popolare”, un “rosa”, ma è evidente che il mio discorso non si riferisce a questo tipo di “prodotti”, ma ad opere d’ingegno. Il problema a questo punto si complica, perché anche tra gli autori di vaglia si incontrano delle ciofèche incredibili: autori nella loro totalità o singole loro opere. E la parola ciofèca è perfetta: noi indichiamo così, per esempio, il caffè orrendo che taluni si bevono e  giudicano buono: anzi, deprecano il caffè robusto, che sa di caffè e non di cicoria. Qui non pretendo di avere lo scettro della critica, tutt’altro: mi limito ad osservare che, per molteplici ragioni, oggi è un po’ più difficile che non in passato distinguere e, in ciò del tutto confusa e disarmata, aggiungo che la rete ha aumentato gli abbagli e le difficoltà a  discernere il grano dal loglio. Vuoi leggere una cosa “semplice”, scritta con limpidezza, con un nitore ed un’eleganza che direi classica? che ti dia uno spaccato di vita reale, che ti faccia ridere e piangere, e incazzare? che abbia un grado notevole di poesia? che narri una storia dei nostri giorni? che sia, insomma, coerente con quello che le parole del pensierino dicono? Te lo dico subito, è il romanzo di un mio carissimo amico di penna e di telefono; se credi che io sia persona trasparente, non ti faccio questa segnalazione, che peraltro ho già fatta nel mio blog, per pubblicità: ma per trasmetterti qualcosa di quello che io ho apprezzato e che, secondo me, ha un senso nel panorama letterario attuale italiano. Mi è venuto in mente lui, per te, perché ne ho apprezzato lo stile e lo ritengo un libro leggibilissimo e godibilissimo, senza cianfrusaglie e contorcimenti intellettualistici. Diretto, perché è specchio di rettitudine, di rigore “morale”, se il caro amico Giorgio mi concede lo scherzo.

Giorgio Morale, Acasadidio, Manni, 2008

qui

dove ne ho parlato.

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