A proposito di versi sciatti, riflettevo su quanto buttato giù ultimamente: ho fatto un bel po’ di strada dalla visionarietà delle Conversazioni, dal risentimento del Piccolo alfabeto. Ogni tanto l’anima mia risentita si rivolge ad un malumore meno puntuto, come disperso e dilatato o al freddo percepito, causato dalla baroccaggine del mondo, dalla sua accelerata entropia. La lingua, sempre ancorata al concreto che nasce dalla terra, che scende a raspare negli strati più bassi del quotidiano, può apparire (anzi, appare, decisamente) sciatta, indigesta: e rozza, e impoetica, aggiungo. E’ un destino che era segnato da sempre: poetare spoetando. Non so se c’è o c’è mai stato qualcosa di bello in quello che scrivo: mi piace, mi soddisfa abbastanza, credo di saper leggere a sufficienza: ma è roba mia e pertanto, se da un lato l’autovalutazione è importante per non mettere per strada canzonette mal conciate, dall’altro il giudizio di bello e buono non mi spetta, né, più in generale, è quello che realmente mi interessa in tutto questo trafficume senile che mi tiene a volte sveglia ad accordare versi sul ritmo diseguale di un acciottolìo interiore (i cocci di una vita fanno gran romore): ed è fatica persa, poiché il sonno che segue cancella per lo più le magiche ispirazioni. Insomma, non so se c’è o non c’è la kalocagathia a cui, fosse per me, mirerei: passando per una testarda e terragna materialità che si leva a volo puntando all’assoluto, o che scava verso territori rocciosi e malagevoli, sotterranei: o che schizza di lato, verso un qualche altrove. So però che certi accoppiamenti non giudiziosi che vanno per la maggiore, in cui l’ossimoro, che per me resta un oggetto poetico da trattare con estrema cautela, è il basso continuo, mentre gli arditismi più impertinenti accostano verbi a complementi oggetto impossibili, sostantivi ad aggettivi da far rabbrividire un futurista, un Novissimo: ecco quelle cose, no, con buona pace della sciatteria vera o presunta. Che non è ricerca, si sappia [travestita da contadinella]: è’ proprio che scrivo così: così male.
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