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Archive for the ‘mortacci’ Category

madri

non so cosa voglia dire, ma dopo tanto tempo ho sognato due volte mia madre in pochi giorni. l’ultimo sogno è stato bruttissimo.
stavamo su un tram, lei seduta, io in piedi. reggeva, tenendola verticale, una cartellina con dei documenti che tirava fuori perché io le chiedevo insistentemente di trovarmi un certo documento di qualcosa che dovevo pagare. e lei, con lo sguardo un po’ eccitato che aveva negli ultimi tempi prima di morire, negava di avere con sé cose mie e mi mostrava, un po’ prendendomi in giro, tutt’altri documenti, non meglio identificati. disperazione mia, lei quasi sardonica. vedi, non c’è. e io che faccio? ma non c’è. io ho tutte le mie carte, di tuo qui non c’è niente.
e ancora una risatina di sfottò, in difesa e con l’occhio pazzo.
ho chiuso il sogno con una cosa orrenda, tanto brutta che mi sono svegliata:
tu sei una perfetta merda!
ero molto turbata al risveglio: ma poi ho pensato che merda è l’anagramma di madre.

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i tempi morti della vita sono quei tempi che solo nei tempi morti ci pensi e dici ecco se per esempio mettessi in fila questi cinque minuti vuoti con quei tre di ieri e i dieci dell’altro giorno alle poste e i quaranta in più a far niente di niente al gate perché nemmanco gli aerei partono più in orario avrei un’ora di vita da spendere. nei tempi morti pensi ai tempi morti: a volte con stizza altre con indifferenza. ma i più belli sono i tempi vuoti pieni di sonno quando con la testa storna prepari il caffè e scaldi il latte che tra il gas e il frigo ti muovi come una portaerei in un porticciolo per velisti. in quei tempi morti a me capita di fare delle associazioni ben strane penso cose strampalate che presto dimenticherò – perciò poi resta l’impressione di cinque dieci minuti vuoti -. è il pensiero lentissimo che pensa se stesso è il mondo sterminato che ti si para di fronte come nel sogno ma sei sveglio e allora scorrono immagini di luoghi persone cose sentite lette che si sovrappongono e siccome sei cosciente ancorché un po’ stordito sei perfettamente in grado di apprezzare – compiacendotene – la tua sbrigliatissima e poietica fantasia.
poi ti cade l’occhio sulle fette biscottate. il caffè sta uscendo con il suo clo-clo-clo: ti rimetti in moto per spegnere prima che tracimi – è lui che devi ringraziare per i tre minuti morti: hai imparato che una pipì rubata al suo farsi di polvere in caffè con quella testa storna significa stare sulla tazza a meditare vedico per poi pulire porconando molto occidentale -. ti cade l’occhio sulle fette biscottate e dici avete la faccia di quelle senza olio di palma! e ti senti immediatamente molto bene: la nimitz ha lasciato il posto a una goletta: le tue vene si ringalluzziscono le arterie in giulebbe ringraziano il pianeta tutto si risolleva per lo scampato infinitesimo pericolo di disboscamento ulteriore. le sollevi, ne scegli due – che faccio? spalmo? no meglio secche – le annusi – sei in quella fase di morte apparente in cui rinculi a stadi primordiali. e ti giunge un odore di erba bagnata di fieno di stalla – integrali eh bè certo e senza olio di palma! -. le immergi nel caffellatte che per automatismi atavici ti si materializza come già zuccherato in tazza – sei ancora nei tempi morti forse transumanti a semivuoti -. le addenti: ancorché inzuppate rimangono dure scabre graffianti. e nei tempi morti degli automatismi ti sorge un interrogativo kantiano: e se – per esempio – fossero fatte di pura corteccia di acero di castagno di legno di sambuco di gelso di palma? non avrò dato forse io lo stesso un contributo negativo al disboscamento del pianeta? esse si stagliano in tutta la loro legnosità di stallatico a costituire un attentato al lavoro del tuo dentista nonché il primo interrogativo e imperativo categorico della giornata trasformando un tempo vuoto in tempo reale irto di mavaffa e possino.

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sono entrata in una stagione nella quale i lati peggiori del mio carattere si vanno definendo meglio. pazienza mai stata abbondante, anzi scarsetta e tutta, purtroppo, scolasticodiretta, ridotta ai minimi termini; pigrizia, molta, arrivata a bradipismo; estroversione massima coniugata a malinconia, risultato: misantropia, o quasi; abitudine a pretendere – e ottenere – molto amore: pensieri di morte, di accattonaggio e barboneria in solitaria; attitudine giudicante – come quella tale la chiamò, per pararsi il culo: resta attitudine giudicante e tranciante e definitiva-definitoria, sissignora, proprio, ben detto; narcisismo, autocompiacimento, come la talaltra li chiamò per medicarsi l’anima sua: ma me ne volete lasciare un poco anche a me, o lo volete tutto voi, il narcisismo, egoisti!
poi c’è quella cosa, che se ne viene dritta dall’infanzia ed è identica, sempre lei, sempre la stessa, la mappata densa e affaticante del rifiuto totale, imperterrito, del giudizio altrui quando non è limpido, delle cose dette per il mio bene, ma intese a fare male. quella cosa che non saprò mai fare sulle persone e che altri esercitano volentieri su di me, essendo così terribilmente esposta, per il mio pessimo carattere, cioè: avendo un carattere.

ci sono persone nella mia vita che dovrei prendere a calci e alle quali non saprò tuttavia mai negare un gesto d’amore, uno scherzo, una carezza, la condivisione di un pensiero, perché le stimo, le apprezzo, ne ammiro l’intelligenza. vista da fuori questa sembra una drammatica incoerenza. ma mi rifaccio con le decine e decine di microscopici altri che semplicemente, altro dato senile, ho imparato a cancellare, dimenticare, lasciare nel loro brodo: con i loro osceni giudizi consolatori sul mio conto.

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quando uno è pieno di sé è pieno di sé: non puoi riempirlo di te. non c’è posto, neanche un angolino. lascia che scoppi, l’asino

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suv con ragazzotto in sosta sul ciglio della strada impediente l’accesso al parcheggio: ma parcheggia, cristo! devo clacsonare due volte, si muove con ostentata lentezza.
sono io che chiedo, capite?
suv con ragazzotta che mi sorpassa da destra per precedermi al semaforo, rosso. che poi ritrovo davanti al prossimo rosso, al prossimo rosso, al prossimo rosso. nei miei sogni scendo, apro la portiera del suv, la tiro giù e la meno di santa ragione.
ciuffo di adolescenti che attraversi fuori dai passaggi pedonali, chiacchierando amabilmente, parlando, o digitando, al cellulare, e io non ho nessuno dietro, perciò potresti aspettare se quella minchia di padri che vi ritrovate vi avesse insegnato a non sentirvi il centro dell’universo: ecco accelererei e farei una strage, depurando il mondo da futuri quarantenni coglioni.
trentenne rinsecchita che mi dici “sveglia, signora” perché mi sono imbambolata di fronte ad uno scaffale al supermercato non ricordando affatto, morta di sonno, che cosa devo comprare: hai ragione, sto dormendo in piedi. ma tu, vedi, trentenne del cazzo, secca secca, sveglia signora lo dici a tua madre, che nel frattempo nei miei sogni s’è beccata della donna dai facili costumi, e se non ce l’hai, una madre, che dall’educazione che hai mi sa tanto di no, vedi di andare, in fenicio, a FNCL.

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mi ripeto: ma due subordinate, non dico molto, due subordinate ogni tanto le potete infilare nei vostri libri “necessari”? giusto così, per non farmi venire il fiato corto, per permettermi di orientarmi, di cogliere ‘docazzo state andando o vorreste andare a parare… niente, nessuno risponde. continuate così, a scrivere come i miei studenti peggiori, continuate. poi se uno s’azzarda a dire che scrivete come il pubblico vuole – che poi, cazzo, anch’io sono pubblico – alzata di scudi, ma quando mai, noi, tz

no, avanguardia no! ti prego, signore delle arti e degli spettacoli, dio dei libri necessari, strafulmina le avanguardie, manda un profeta a dire che basta scrivere bene, suonare bene, dipingere bene, che non serve innovare più, riesumare più, di’ loro che tutto è stato detto, di’ che vadano avanti e basta, senza etichette, senza padri, senza madri. non se ne può più. siamo al post post post di tutto, al com-post, oltre la frutta, i torsoli, l’umido differenziato

aridateme bufalino e manganelli, e tutti i possibili nipotini e nipotastri di gadda, fino alla quattordecima generazione, aridateme il mio buon vassalli, il più coerente scrittore misantropo che mai sia suto, aridateme pirandello, la prosa più linda ed elegante che lèvete, indietro indietro, aridateme dossi, altro gran lombardo, aridateme, persino, manzoni…

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