L’arte mia improduttiva
L’arte mia improduttiva è no profit,
non ha orari d’ufficio, appuntamenti
certi, squilli di telefono pronti (!?)
per voci di segretarie in succinti
tailleurs. L’arte mia non ha strategie
di mercato, alti piani di lavoro.
Non ha scadenze fisse, appelli e capi
in giacca e cravatta la mia arte: è solo
un frinire del cuore senza sosta,
uno sghiribizzo di mosca bianca
di pena nelle volute dei giorni
da consumarsi preferibilmente
nel giro di qualche pagina eterna
che vale una vita intera.
Neppure
le permettono di scadere, in mezzo
a tutti di morire o insomma scendere
in piazza… L’allontanano
o se ne vanno.
Perciò, sullo sfondo
monotono di un tacito baccano
crepita soltanto una ciarda d’ali
sempre diversa s’è allegra o ferita:
forse è folle di dolore o d’amore
quando ho l’emicrania o il mal di schiena.
L’arte mia spesso è veglia stralunata
di mille e una notte tersa di punti
interrogativi, nei di luce,
stelle cadenti in parabole ignote
che squarciano la stoffa dell’anima.
Non ha problem solving, agevolazioni
fiscali o sconti questa mia fatica
dalle tasche bucate di ricordi,
spiccioli di verità: lo scontrino
della spesa sciatto o anche il foglio scritto
nell’attesa di un altro giorno, volto
di luna che mi ricorda la dote
vana d’essere quel che per te è poco
più di un semplice gioco.