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Archive for the ‘poesia d’amore’ Category

mi hai detto
che la tua ragazza
ti pare in forma
con il volto sereno
fresco grazioso
che l’hai pensato
ieri e ti è battuto
il cuore. ho avuto
un  balzo nel petto
già odiavo la tua ragazza
mi vedevo armata
di stiletto nel buio
pronta a colpire.
gli occhi tuoi buoni
e gentili hanno fugato
il dubbio mio senile:
una carezza sul volto
della tua ragazza
me l’hanno fatta
amare.

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donne

oggi ho svuotato un magazzino
ho trovato foto di lei tutta acchittata
fresca di messimpiega la faccia seccata
che dice al fotografo: non hai finito?
e ho trovato dei riccioli bianchi
dorati legati con un nastrino
giocattoli dimenticati quaderni
di scuola odorosi di banchi.
due volti di donne e io in mezzo
a loro; una bruna imbronciata
l’altra bionda sorridente di cielo.
io il broncio ed il biondo
e un pezzetto di azzurro.

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oggi è la festa dei figli
ché senza figli non ci sono
le mamme.
evviva i figli che fanno
di una donna
una mamma onesta
una mamma che guarda
lontano: questa è la festa.

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giù per il mondo senza fine amaro
senza il tuo sorriso buono e arguto
ogni dardo del destino avaro
sarebbe stato velenoso e acuto.

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da un qui pro quo
nasce talora uno sguardo
che innamora
stavi per concludere un affare
l’acquisto di un gaspare
o di un melchiorre
o forse baldassarre
lo rigiravi con cautela
guarda è di biscuit
guarda questo particolare
ti manca? sì!
dentro il sì c’era un mondo
di infanzia che mi sono persa
[come sono diversi i natali
dentro le case anche se a dirli
paiono uguali] c’era un languore
di bambino che in pochi
miracolosamente sopravvive.
come dirti di no, come dirti,
da massaja pettoruta,
che con una statuetta di presepe
ci faccio una spesa bell’e compiuta?
guardavo i gingilli i libri i quadretti
desiderosa anch’io [ma di te
sorella maggiore]. quando mi girai
per vedere se avevi stabilito,
il prezzo era stato pattuito:
non costava una settimana
il solo baldassarre [o gaspare
o melchiorre] ma tutto il presepe
compreso il bambinello,
caro! no che non è caro!
dicevo il bambino!
ah, sì: è tanto bello!

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nel mio esserti madre sfioro talora
[ma me ne ritraggo inorridita]
cornelia, madre dei gracchi.
non sono la generosa e silente madre
di enrico bottini, così perbene, così
elegante, e commossa, all’asilo
dei poveri, poiché, tu sai,
non sono una signora
[ho la sindrome, semmai,
di balocchi&profumi alla rovescia].
non sono stata compagna di giochi
non sono tua amica. per pochi
giorni avrei voluto chiamarti cecilia
così da essere almeno “la madre
di cecilia” [senza la morte, senza la peste:
non sono così snaturata, münchausen
è solo il barone delle avventure].
né ho bastevole coraggio [spesso
piango e mi querelo e allora,
non troppo paziente, tu mi sei madre].
ho camminato a tentoni ho annusato
l’aria come faccio in ogni mia cosa:
non so riconoscere le cause
né gli scopi del vivere quotidiano:
ti ho dato, quando ho potuto, una mano,
ti ho insegnato poco, a ben guardare.
ma se ti guardo [la parola
corretta sarebbe “contemplare”]
così stilnovista nel tuo sembiante
[da cielo in terra a miracol mostrare]
sento di aver fatto giusta almeno una cosa
tra le tante.

 

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A.

ho desideri folli
che solo un dio potente
e benigno potrebbe
soddisfare.
lascio quelli
da creatura povera
prevedibile e lagnosa
ti racconto questo:
passare dieci minuti
con te in braccio
per ogni età
che hai attraversato
nella prima infanzia
riaverti con i tuoi odori
con il rosa delle tue guance
i sorrisi generosi
l’amore incondizionato
che fa sentire buono
anche l’assassino

[a mia figlia]

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gelosia

mi hai detto
che la tua ragazza
ti pare in forma
con il volto sereno
fresco grazioso
che l’hai pensato
ieri e ti è battuto
il cuore. ho avuto
un balzo subitaneo
di ferocia nel petto:
già odiavo la tua ragazza
mi vedevo armata
di stiletto nel buio
pronta a colpire.
gli occhi tuoi buoni
e gentili hanno fugato
il dubbio mio senile:
una carezza sul volto
della tua ragazza
me l’hanno fatta
teneramente amare.

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presero un pezzo di roccia
lo spezzarono e gli diedero
un cuore un fegato dei polmoni 
da quel pezzo di roccia spezzata
[quella che intanto stava 
in un canto ad aspettare]
trassero me una me informe
e sciancata che quegli dei
sdegnarono per primi.
esposto al sole e al vento
e alla rabbiosa pioggia di levante
il coccio si indurì cercando
impaziente il suo pezzo amante
quello che portava la madre
delle sue molecole, delle sue catene
ma invano: al pezzo principale
era cresciuta intanto un’anima,
una cosa trasparente come un velo
da sposa tra l’azzurro e il bianco:
il sasso duro e graffiato
da qualche inverno passato
nell’acqua salata dove il fiume
finisce e si confonde nel mare
sbozzato dalle onde della risacca
trascinato su una riva melmosa
si faceva uno spirto da sé 
che dentro gli ruggiva.

il sasso spezzato un po’ sasso rimase:
il sasso madre splendente d’azzurro
ne ebbe pietà e vide che era cosa buona.
[gli incastri rimasti a coda di rondine
perfetti per ricomporre quell’uno
più grande. un’anima in due
era bastevole ad entrambi].

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la schiena mi ha detto che non vuol farmi camminare
la testa mi ha detto: ‘ti fo’ male per non farti ragionare’
le gambe: ‘se loro non voglion perché dovremmo faticare?’
le braccia: ‘ahi ahi, non sognarti per nulla al mondo di sollevare!’
la pancia guarda la bocca e le dice: ‘tu non mangiare!’
il cuore mi chiede: ‘smetterò prima o poi di sanguinare?’

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