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Archive for the ‘robba de feisbu’ Category

se penso ai tignosi che sono passati per di qua, oddio quanti! mai tempo, come fanno in molti, per cercare qualche notiziola suggestiva sul loro conto: la solita disinformata. è probabile che si sappiano, o si credano di sapere, più cose sul mio conto, di quante, tutte messe insieme, io conosca su tutti i miei contatti webbici, perché ci vuole stoffa, pazienza, tempo per impicciarsi dei cazzi degli altri. posso affermare che quando si parla di questo e quello, ciò anche nella vita reale, io non so mai, ma veramente mai, cose divenute persino di pubblico dominio: che quello sta con quella, che quella ha litigato con quell’altra, che i due sono tornati assieme, che quegli altri, che prima collaboravano, adesso si stanno facendo la guerra con gli avvocati… non so niente nemmeno sulle tigne che mi hanno attaccato qua sopra. però, stamattina, in cerca di un file, svegliatami anzitempo, mi sono imbattuta in una conversazione fallace e fallica qui occorsami ( FB) circa un anno fa con una tigna femmina, che salvai riproponendomi di studiarla semiologicamente. nulla di fatto, tant’è che l’ho rivista giusto un’oretta fa. allora, avendo tempo, sono andata a vedermi la tipa (che mi aveva rifilato, subito dopo l’amicizia, la sua opera omnia a stampa: un’imbarazzante emerita schifezza). oddio i proclami! i manifesti di poetica! oddio le weltanschauung de noantri!
allora penso che per quanto io possa sembrare fuori di testa, ho ancora un ottimo margine di autoironia, ma di quella vera, non millantata, come certi che, appena li tocchi, questi autoironici, s’incazzano come jene. anch’io mi scoccio, è ovvio: ma meno di quello che si crede. ce n’è invece che s’attaccano alle sfumature – dicono loro: alle sfumature – e non mollano; quelli che si sentono discussi fino alle midolla; quelli che dicono stronzate su ogni cosa, dalla poesia ai würstel, e fingono di essere scherzosi: poi bisogna vedere come si incazzano sui würstel.
allora, a proposito di würstel, sono andata a vedermi questa m.a.p.: e ho capito tante cose su di me, sul perché non ce la faccio a reggerle, certe: e mi voglio un po’ più di bene, con tutto che non è un gran momento, questo qui.

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quando ho un tarlo, anche di poco conto, mi sveglio quella mezz’ora prima naturaliter: non so propriamente quale ne sia la causa, però mi metto a fare qualcosina. a giudicare dalla pace, ci ho beccato: la ragione del tarlo è stata debellata.
(da cui si ricava il principio universale che le donne non sanno quasi mai quel che fanno, ma ci beccano).

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a noi ci rovinò la sinistra al caviale
“quelli che vent’anni fa parlavano
di fare la rivoluzione, ma che alla fine
il mondo gli è andato bene così com’è”*
ora questi sono sparsi un poco
dappertutto spalmati e annojati
sui divani dei salotti della capitale
mentre le ceneri sparse degli operai
i pezzi di polmone la terza settimana
l’università che non si può più andarci
le ferie chi le vede più ormai da tanti anni
comprare un libro ci compro le bistecche
mentre tutto questo e molto altro
infuria e spazza e spezza vite e straccia
futuro non importa a questi né a quelli
ché anzi non esiste più una classe operaia
e se gli ultimi rimasti muoiono gli fanno
un gran favore così parleranno
con più agio a vanvera coi loro cliché
e tra uno e l’altro dei loro must e dei loro tic
parleranno di barche e dei figli a princeton
orgoglio di papà che abbiam bisogno
di figli come questi per dare un futuro alla nazione

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strani vuoti. alle sette e un quarto qui non c’era nessuno, o quasi. mi pareva d’essere la donna delle pulizie prima che aprano gli uffici. per strada lo stesso: interi tratti con nessuno né davanti né dietro. vuote, a sorpresa, perché mai che io ricordi una scadenza, due ore di classe. la testa un po’ vuota, perché ho fatto tardi. la provvidenza c’è e in quanto tale vede e provvede: mi sgombra le strade e mi assottiglia il lavoro, che chissà cosa potrei combinare. ma mi riempie anche di nuovi tormenti, perché non le si può chiedere troppo: io poi che non le chiedo niente. ecco, preferirei, di gran lunga, in questo momento, potermi liberare dal bradipismo cerebrale e dinamico, riempirmi di pensieri pragmatici e di furore muscolare, e lasciar fuori i miei soliti banalissimi interrogativi sul senso, umilmente redatti nella domanda “a che cazzo serve tutto questo?”. mica i massimi sistemi

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un cretino come tanti mette un post sparando la cazzata storica, del tutto sua – chissà cosa si credeva – secondo cui montale sarebbe solo un abile e colto versificatore, ma non un poeta.
so perfettamente che devo tirar dritto, che quando uno le dice grosse e infondate è perché ha le palle girate per le sue miserie personali. spera che qualcuno abbocchi per mena’ la lingua: al posto delle mano, e puntualmente la tosy abbocca. la tosy ha la patente di salvatrice dei depressi: dove c’è un depresso che a bolgheri alto e stretto in duplice filar, lei ci va: e di solito gli dà la mazzata finale.
gli dico bonaria che è un’idea di quegli stramaledetti romantici che il poeta sia un ispirato e che è un’idea ingenuotta. e lui dice che io conosco solo il montale nazional-popolare. gli faccio io: e quale sarebbe il montale nazional-popolare? e lui di rimando: quello che è sulla bocca di tutti, anche sulla tua. e io penso: vaffanculo. ma gli dico sincera e senza ammettere repliche: conosco una per una le poesie di montale. fa dice: e chi se ne frega. dice tipo che le ho lette e le so a memoria – mai detto di saperle a memoria – ma non ho capito niente. gli rispondo: come fai a dirlo. e intanto mi vedo che prendo a sediate la sua faccia barbuta da intellettuale scoppiato. poi mi dice che sono arrogante, che è tipico di chi non capisce un cazzo di poesia. con un ultimo sforzo tiro fuori la consapevolezza nonnesca – tutti permetteranno, vero? – per dirgli ennò, carino, sulla mia preparazione tu non ti puoi permettere di dire alcunché. si mette in mezzo una e gli dice che, stanti le sue affermazioni, gli toglie l’amicizia. ah, meno male: di solito le donne si intromettono per dirmi su di tutto. lui approfitta per dirmi che io non so scrivere un solo verso senza che la penna si metta a ridere, che sono una persona inutile, che è un po’ che voleva dirmelo, che sono una frustrata. lascio che lo dica e mi salvo queste parole prima della bannata: sua, non mia, ché stavo in rete ad occuparmi di tango.

“Tiro fuori questa acredine solo perché sei una persona inutile, come ti sei sempre dimostrata, ma ti ho lasciato sfogare fin quando non hai cominciato ad infastidirmi. Ripeto che essere offeso da una scribacchina inutile e frustrata, da una lettrice misera ed ottusa come te, è un onore per il sottoscritto.”

offese. frustrazioni. lasciar sfogare. lettrice misera e ottusa:
forse perché non avevo messo un solo mi piace alle sue poesie in rete? quanti non mettono mai un mi piace alle mie di poesie o non le commentano?
la rete fa male, la solitudine fa male: nessuna condivisione, molta invidia, molta miseria, molto poco principio di realtà.

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assonanzata

sono stufa di quel ceffo
vorrei che con un semplice cenno
del capo gli infilassero il capo nel cesso
beati i tempi in cui i tiranni finivano sul ceppo

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sarà che non sto bene e domani e martedì ci ho cinque ore
sarà che è domenica e di suo befana o meno mi fa malinconia
sarà che sono le otto di sera poca tosse si spera sennò uno si spara
sarà che tutto ma tutto tutto ma tutto tutto tutto intorno secondo me non va
ma non so non vorrei sembrare esagerata o urtare la suscettibilità e la sopportazione
di gente sensibile che ama post sensibili ed eleganti un po’ confidential un po’
jazz un po’ come dire cult un po’ meno siamo meglio si sta che dite
sarà che io sono un po’ pop un po’ funkie di strada più che cult
ma a me quest’ora che incalza mi fa schifo e altro non so

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quando saremo tutti più normali
e ci sveglieremo dal lungo sonno
e diremo non devo più mangiare
peperoni la sera
e quando saremo tutti più sobri
e ristabiliti e deprecheremo
i politici che tuittavano
imbranati e felici al tempo della
campagna elettorale
quando lasceremo pagine e gruppi
e ci verrà da ridere al pensiero
di quanto tempo dedicato al poco
al nulla suo fratello
quando scriveremo lettere vere
o mia cara or son due mesi mi manchi
come io spero lo stesso sia di te
di là dall’oceàno
quando saremo umani per l’ultima volta
ci incontreremo al bar sotto casa
in strada al cinema in pizzeria
chi lo sa dopo si vedrà

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il supermercato la vigilia di natale
è come quel tal cammino alto
e silvestro. me metto dentro
alle secrete cose, non sapendo
ancora se tenermi al quia della
ricetta della zia o all’ultimo grido
dello chef maestro, mentre pecunia
langue drento la scarsella ne lo giorno
della lieta novella: un’altra di quelle
promesse non mantenute ché lieta, si sa 
come finì, e novella, forse, ma è sempre quella:
salvo per il (popolo) bue, e asinello

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tisana che sani
i seni rassodi
i sogni rassereni
i sensi risollevi
insana che sono
ti bevo tisana
sai di fieno
sai di paglia
fai schifo tisana
tu sana non sei
e scotti, lo sai.

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