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Archive for the ‘spazzatura’ Category

questa sera è andato in scena il più stalinista di tutti: un vero, pienissimo, compatto, opaco stalinista

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Nella rete

Si va dalla sgrammaticatura presa per buona (ordini di scuderia), al laudatissimo post-temino di terza media su sentimenti di cartone. C’è quello che celebra l’avvenuta presa di coscienza (la sua coscienza) nell’età adulta come un avvenimento straordinario, quello che riceve complimenti (nessuno mette in dubbio i complimenti) per il suo libro, sottolineando che li ha ricevuti da uno scrittore, critico nonché poeta di rara sensibilità (e vorrei vedere che raccontasse di aver ricevuto i complimenti da un rozzone incolto analfabeta: ma bastava dire che uno scrittore si era complimentato con lui, se proprio lo voleva raccontare). E’ inevitabile, sono la prima a dirlo, che si parli a partire dal proprio mondo, dalle proprie esperienze: così anche quando si fanno delle riflessioni e le si espone (come questa). I discorsi in astratto non hanno tenuta, sono come un bel vestito ma della taglia sbagliata: ma fai un giro su fb o in tre o quattro blog e c’è da trasecolare: per la forma e i contenuti di livello piuttosto modesto cui segue un assurdo entusiasmo dei commentatori e, pari all’entusiasmo, l’orgoglio inattaccabile dell’estensore, cui non è possibile obiettare nulla, pena il bannamento o l’ostracismo da tutti i blog del regno (i blogger hanno una rete fittissima di messaggeri che arrivano fino alla periferia dell’impero, fino alla fortezza Bastiani a portare la notizia che il Tale (Tartaro) ha osato contraddire sua maestà). Per contro, siccome ho la cattiva abitudine di tradurre in versi o brevi prose ciò che mi colpisce (che non è riferito a me per forza), mi sono presa della narcisista, dell’egocentrica: può essere, tutto può essere: con l’unica differenza che prima di accettare di mettere qualcosa di mio in altri luoghi che non qui o su fb, devo essere sicura di non mandare schifezzuole. Se poi piacciono, bene, se no, pazienza: ma le sgrammaticature no, i temini nemmeno. L’ironia che c’è (sempre) in quello che scrivo l’hanno capita in due o tre: ironia su me stessa, sulla domanda stupidissima e fondamentale che pervade le mie giornate: che cosa ci faccio io qui? Credetemi, non mi aspetto niente di niente, da nessuno: ho imparato alla nascita a cavarmela da me, a prendere il buono quando viene e a lasciare la meschinità quotidiana (che pure mi fa incazzare q.b.) in un canto. Però ho occhi buoni abbastanza per leggere e una mente abbastanza sveglia ancora per pormi delle domande: e se giro in rete, in cui pur si trovano belle cose, la sensazione è che la piaggeria diffusa, apparentemente innocua, rappresenta una cellula (malata) di un più grande organismo. Lo scodinzolamento reciproco è quello che tiene incollato il nostro paese, in tutti i suoi aspetti, al vecchio, alle pratiche stantie della politica e nel sociale. E’ evidente che sono io a non funzionare: ma è di questo che parlo, di me che non funziono: di che altro?

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un cretino come tanti mette un post sparando la cazzata storica, del tutto sua – chissà cosa si credeva – secondo cui montale sarebbe solo un abile e colto versificatore, ma non un poeta.
so perfettamente che devo tirar dritto, che quando uno le dice grosse e infondate è perché ha le palle girate per le sue miserie personali. spera che qualcuno abbocchi per mena’ la lingua: al posto delle mano, e puntualmente la tosy abbocca. la tosy ha la patente di salvatrice dei depressi: dove c’è un depresso che a bolgheri alto e stretto in duplice filar, lei ci va: e di solito gli dà la mazzata finale.
gli dico bonaria che è un’idea di quegli stramaledetti romantici che il poeta sia un ispirato e che è un’idea ingenuotta. e lui dice che io conosco solo il montale nazional-popolare. gli faccio io: e quale sarebbe il montale nazional-popolare? e lui di rimando: quello che è sulla bocca di tutti, anche sulla tua. e io penso: vaffanculo. ma gli dico sincera e senza ammettere repliche: conosco una per una le poesie di montale. fa dice: e chi se ne frega. dice tipo che le ho lette e le so a memoria – mai detto di saperle a memoria – ma non ho capito niente. gli rispondo: come fai a dirlo. e intanto mi vedo che prendo a sediate la sua faccia barbuta da intellettuale scoppiato. poi mi dice che sono arrogante, che è tipico di chi non capisce un cazzo di poesia. con un ultimo sforzo tiro fuori la consapevolezza nonnesca – tutti permetteranno, vero? – per dirgli ennò, carino, sulla mia preparazione tu non ti puoi permettere di dire alcunché. si mette in mezzo una e gli dice che, stanti le sue affermazioni, gli toglie l’amicizia. ah, meno male: di solito le donne si intromettono per dirmi su di tutto. lui approfitta per dirmi che io non so scrivere un solo verso senza che la penna si metta a ridere, che sono una persona inutile, che è un po’ che voleva dirmelo, che sono una frustrata. lascio che lo dica e mi salvo queste parole prima della bannata: sua, non mia, ché stavo in rete ad occuparmi di tango.

“Tiro fuori questa acredine solo perché sei una persona inutile, come ti sei sempre dimostrata, ma ti ho lasciato sfogare fin quando non hai cominciato ad infastidirmi. Ripeto che essere offeso da una scribacchina inutile e frustrata, da una lettrice misera ed ottusa come te, è un onore per il sottoscritto.”

offese. frustrazioni. lasciar sfogare. lettrice misera e ottusa:
forse perché non avevo messo un solo mi piace alle sue poesie in rete? quanti non mettono mai un mi piace alle mie di poesie o non le commentano?
la rete fa male, la solitudine fa male: nessuna condivisione, molta invidia, molta miseria, molto poco principio di realtà.

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in vino veritas

sull’orlo di un discreto alcolismo
bianco secco gelido e serata solitaria
mi sogno sfatta biascicante con un dito di
grigio tra i capelli bisunti le ciabatte la vestaglia
irrecuperabile a me stessa al mondo: adoro questa
messa in scena di me debole insoddisfatta quasi demente
da cui mi salvo per il troppo ridere che ogni cosa mi trasmette

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foscolo diceva italiani io vi esorto, tornate
alle istorie! ed è così che noi,
ubbidienti, abbiamo
un diario.

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http://bookblister.com/2012/03/27/il-business-dellinedito-al-via-il-primo-festival-spenna-creativi/

e

http://bookblister.com/2012/03/30/il-festival-dellinedito-silenzio-considerazioni-conclusive/

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Bertone invita oggi Berlusconi ad un “pranzo di cortesia”. Vabbè che, fosse per loro,  proverebbero a convertire anche il diavolo, ma, domando e dico: è il caso di accogliere la pecorella smarrita (e i pecoroni) proprio in questa fase? Che poi: pecorella…un caprone, un satiro… Posso dire? Che schifo!

 

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studiosi pulchrarum puellarum quam mentularum esse

eh, sì, eh?!

ma quanto mentula sei, ma fino a quando? quousque tandem?

italiani! brava gente! italiani non cazzuti, modesti padri di famiglia, lavoratori, lavoratori veri che si spaccano la schiena, la testa, quando non ci rimettono la vita, dove siete?  vi sentite rappresentati da uno che va a ragazzine impunemente, che scherza su cose serie come le scelte personali di orientamento sessuale? vi sentite rappresentati, sognate di essere al posto suo, al posto di un tappetto di settantadue anni in fregola? non se li porterà nella tomba, i denari! ci andrà col suo parrucchetto, i suoi rialzi nei tacchi, i suoi lifting che finiranno per stampargli le orecchie – peraltro grandi – sulla nuca! ma lo vedete? vi piacerebbe avere tutte le donne che volete per denaro, unicamente per denaro? se è questo che vi piace, accomodatevi: ma non pretendete di essere considerati uomini desiderabili dalle vostre bellissime donne italiane.

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Siccome non è piovuto abbastanza, non è straripato alcun fiume, non ha soffiato il vento, non è salita l’acqua alta, questi due giorni si chiudono con raffiche di pioggia che a guardare contro i lampioni sembra la diano con gli idranti, come in quei ridicoli film americani in cui piove all’americana, cioè in grande, e tutti si bagnano in grande. Si bagnano così tanto che per tutto il resto del film mi chiedo come faccia il personaggio a muoversi spedito con dei jeans che pesano un quintale per gamba e come possa tollerare maglietta e camicia appiccicate addosso (perché l’impermeabile l’ha dato a lei che è uscita in spadina e tacchi alti, of course).  Si chiudono questi due giorni topeschi e talpoidi con l’ultimo compitazzo di latino da dare capocciate nel muro. Non ho fatto tutto quello che avevo in cuore di fare, ma ho dormito, e fra un po’, passata dallo scrostatoio, ci rivado, ché domani si ricomincia: alle 6.20. Ma volete mettere la bellezza, la gratificazione umana e materiale di fare l’insegnante? Con tutto quel tempo libero, e quegli stipendi da favola? Con tutto l’ossequio e l’ammirazione che la società ci tributa? Con il ruolo essenziale, oggi più che mai, che abbiamo in un paese in cui “con la cultura non si mangia”? Eh? cavoli! Vado a farmi una doccia chilometrica, mi sento sporca solo per aver innescato il procedimento a catena che “di pensier in pensier, di tremonti in tremonti” mi porterebbe fino in Brianza, fino in Egitto: meglio chiuderla qua.

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