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Archive for the ‘teatro’ Category

Fuori del teatro un’acqua spaventosa dal cielo, la marea minacciosa nei canali, a bordo riva, nera, con piccole onde esatte increspate dal vento. Due gradi in meno e sarebbe stata neve. Il canale della Giudecca, perduti i contorni soliti e le consuete proporzioni, per la gran massa d’acqua, su entrambi i fianchi, sembra un gran fiume, il Danubio a Budapest. Freddo, senti piombarti addosso tutta la difficoltà che ogni volta dimentichi per amore: Venezia, d’inverno, di notte, sotto una pioggia battente, senza ombrello, l’acqua a un pelo dal montare le rive, reca tracce di sogni infantili, ti mette ubbie e languori di disperazione.

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http://www.assurdoteatro.it/suicideparade/

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Letture kleistiane al Teatro di Ca’ Foscari

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http://www.radiocafoscari.it/archivio/plot/plot100303.mp3

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Video teatro

qui

ho aggiunto un video.

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“L’odor de l’omo fa revegnir la dona”.

Carlo Goldoni, La puta onorata, Scena ultima

Si vorrebbe di no, ma più passa il tempo e più me ne convinco. A chi l’omo  mancò o manca, si dice che le manca “el soramànego”, specie di pialla atta a sgrossare. Luigi Meneghello dice che “le done … gussarle”: passarle alla “gua”, arrotarle. Sempre di “attrezzo” si tratta. Conosco donne antipatiche con le donne, che appena arriva un paio di pantaloni nel raggio di tre metri squittiscono, miagolano, tutto uno zucchero. Ecco, quella è una cosa che mi fa imbestialire.  Inversamente proporzionali nel gesto alla quantità di ripassate, piallate, arrotate ch’hanno pigliato nella di lor vita.

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Devo riappropriarmi del mio sesto senso. Mi rilassa affidarmi alle sensazioni,  alla loro pretesa irrazionalità. Non devo riflettere, mettermi in difesa, essere guardinga: basta che mi metta in ascolto e da qualche parte vibrerà di sicuro la corda dell’armonia, del piacere della novità, oppure, al contrario, striderà facendomi accapponare la pelle, mandandomi segnali di resistenza al pericolo. Invece il più delle volte mi vergogno con me stessa di essere stata irrazionale di fronte ad una nuova conoscenza: questo quando provo fastidio, quando qualcosa di una persona non mi piace, lì per lì. Ripensandoci mi dico che non si deve mai togliere la fiducia ad un cristiano senza prove certe. Ed è lì che sbaglio. Quello sgradevole brividino, quella nota stonata mi ritorneranno indietro, prima o poi, sotto forma di fregatura, di delusione. Al contrario, quando freno gli entusiasmi,  mi privo del  piacere di godermi la persona che ho davanti, condizionando senza volere il feedback della relazione che si va instaurando, o il piacere pieno e disinteressato della prima volta, quella in cui, per quanto mettiamo su una maschera, è difficile sapere in precedenza come reagirà l’altro, e così, in un modo magari pasticciato, siamo tuttavia sinceri. Se mi offro alla novità senza porre resistenza, sarò capace di percepire l’essenza dell’altro, diversamente ne percepirò un’eco smorzata.

Ieri per esempio ho conosciuto Vitaliano Trevisan e l’ho trovato una persona dolcissima, tenera, quasi indifesa, a dispetto di tutto quanto scrive. Sono andata ad assistere al monologo “Oscillazioni” che avevo letto, tra l’altro, non più di quindici giorni fa. E’ stato tutto una sorpresa: l’andare a teatro, all’ultimo momento, incontrare lo scrittore nella calle antistante, rivolgergli la parola senza pudori. Si è voltato ed è stato bello scambiare, assieme a mia figlia, un po’ di impressioni sui suoi “romanzi”. Dopo la lettura ha risposto ad alcune domande del pubblico e lì ho rivisto l’ uomo gentile, timido, umile che mi aveva colpito un’ora prima. E’ una persona piacevole, non è niente di tutto quello che, duole dirlo, spesso sono gli scrittori. Ero rilassata e contenta e non mi è passato neanche un secondo il dubbio che si trattasse di  una messinscena ad usum cretini. Non tutti gli scrittori vengono per nuocere.

Il monologo “Oscillazioni”, con la sua ferocia e il suo finale aperto, con i temi più cari all’ autore (l’irriducibile ed eroica resistenza alle convenzioni, ai luoghi comuni, alla banalità del quotidiano, all’ortodossia del vivere) è stato letto con ironia dall’autore, che ha saputo valorizzare le enumerazioni, le ripetizioni, le ossessioni tipiche del suo linguaggio.

Vitaliano Trevisan, Due monologhi, Einaudi 2009

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Ho visto scorrere Lucietta in un lampo

sulle gambette larghe riccioli quasi bianchi

guance rosse “Siora mare, me maridarògio?”

e Carlo che ti sorrideva, limpido e sereno,

compiaciuto.

Ho visto l’uccello del paradiso le piume e i passi di airone

nelle barene attorno a Venezia, al tempo dei barbari a cavallo.

Ho visto una signorina grandifirme agitata dai troppi caffè.

E ho visto Venere, con le rughe, e siora Marina, e la città più bella,

divinità ctonia strisciante nel profondo.

Ho visto una Pizia innamorata splendente nel suo peplo.

Ho visto una giovane donna che ha ammazzato sua madre

ma era per finta: quella madre non ero io

così come tu non eri tu ed allo stesso tempo eri tu,

solo più piccola, più magra e indifesa,

tremante.

E mi hai spezzato il cuore, è andato in frantumi:

mille schegge di orgoglio e passione al cospetto

del tuo terribile daimon.

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