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Archive for the ‘cazzatine del mercoledì’ Category

non mi sono mai mai mai permessa di chiedere nemmeno un dito, che dico? una falange a chicchessia. se non proprio mai, pochissimo: e in generale cercando di ricambiare immediatamente in qualche forma. ho ricevuto tanto, invece, senza chiedere, da alcune persone che hanno anticipato più volte le mie necessità, come vigeva in un tempo lontanissimo, nel mondo cavalleresco, in cui dominavano, anche se metaforicamente, magnanimità e liberalità. queste persone, che esistono anche se rare, aggiungono un regalo più grande dell’aiuto che già offrono: la bellissima sensazione di meritarsi qualcosa, di non essere poi così male come capita, a volte – e a me capita molto spesso, anche grazie ad amici premurosi che vogliono tanto il mio bene -, di pensare di se stessi. io penso molto male di me, perché in maggioranza risulto indigesta: e tanti begli spiriti, che tuttavia stimo, o con l’indifferenza più sorda o con la critica più ostile, fanno in modo di farmi capire che non è che mi posso permettere di essere come sono e che soprattutto io non creda mi spetti qualcosa di più dal momento che non sono, attualmente, nelle mie condizioni migliori. sapete? io non sono molto convinta che andrà tutto bene. un po’ perché sono pessimista di natura, un po’ perché ho qualche dato negativo accumulato in anni e anni di osservazione. perciò voglio dire agli amici in carne e ossa e a quelli virtuali che pazienza non ne dimostrano nemmeno un po’, che hanno solo tempo per svolazzare di fiore in fiore, di pavoneggiarsi e coccolarsi, ai fautori del voler bene prima di tutto a se stessi, che le cose non sono purtroppo né durevoli né mai e poi mai quello che sembrano. lo sanno bene, costoro: ma in astratto. spero per loro che possano sempre conoscere i buoni sentimenti, l’altruismo e la solidarietà, la pietas in astratto, che continuino pure a percepirsi come “a posto”. che non debbano chiedere aiuto a nessuno, mai.
[niente mi fa più orrore del “sano” egoismo. l’egoismo è solo egoismo. è un sentimento del cazzo, di povera gente. fate un po’ come vi pare]

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scampo

non c’è scampo, disse.
ehi, amico, mi sposto un po’ vediamo se prendo.
se prendi gamberi, perché qui non c’è scampo.
niente, disse, siamo fottuti, nessuno ci salverà.
ti ho detto che non c’è scampo!
e io ti dico che non ci sono nemmeno gamberi.
non è vero, tu dicevi che non prendevi.
né scampo, né gambero: e non c’è campo.
quale campo? siamo in mare!
[mentre la barca andava alla deriva, vennero alle mani. caddero battendo il capo nella regione dell’ippocampo. si risvegliarono non sapendo più chi erano, né che che facessero in quella sterminata distesa d’acqua]
oh, guarda! dei piccoli cavalli che nuotano!
ippopotami… no, ippocampi.

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non c’è niente di più deleterio del brutto tempo minacciato che non scoppia. stanti le diverse previsioni, si parlava di temporali per l’area di venezia da lunedì sera scorso (meteo.it), da ieri pomeriggio (sky tg24), sicuramente dalla notte testé trascorsa (entrambi). ieri sera ho assistito a un sabba di zanzare e moschini fastidiosissimi, segno che non dovrebbe mancare tanto. il problema è che il mio mal di testa si ripresenta da domenica pomeriggio e non vi dico i salti mortali tripli carpiati con avvitamento per evitare di assumere bustine o pastigliozzi del solito sechshundertbrufen panzer division. ora mi sono alzata quasi disperata, ho preso il gastroprotettore, mi sono preparata la colazione: il tutto non per iniziare precocissimamente l’ennesima giornata di nulla, che stavo volentieri coll’angioletti, senonché mi hanno svegliata la feroce pulsazione endocranica, il moraletto piantato a ore 12.30, l’irrigidimento del collo che neanche una meningite: ma per prendere la bustazza di SHBPD, la corazzata Potemkin degli antinfiammatori-antidolorifici, la Nimitz con tutti i caccia armati e schierati agli elastici dei rimedi, il Krasnij Oktjabr’ con i siluri puntati sul mio cranio perfetto, dentro cui si annida un male becco che non mi fa dormire. ciò in aggiunta al resto: come dire, non mi faccio mai mancare niente (di tutto quello di cui non ho bisogno)

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la vaschetta di cacciata ha esaurito il numero geneticamente programmato di sciacquoni al tasto risparmio (detto in breve “pulsante pipì”), per l’ovvia ragione che le pipì sono numericamente superiori alle pupù, e sta rompendo alquanto a livello di tasto pupù (usato ora anche come tasto pipì datosi il defunto di cui sopra) perché, pulsantizzato, esso non ritorna in sede e fa scorrere l’acqua, invece di incamerarla, con nocumento del bilancio famigliare nonché scassamento di clop clop fssssss clop clop fino a che non viene ispezionato e rimesso in ordine. ora, ammetto, senza alcuna vergogna praticomanuale, che l’impulso mio magari non è molto intenso, in ispecie di questi tempi che le mano mi friggono vel hanno consistenza di formaggetta primosale in cestello, ma il pulsantone ci mette la sua perversione personale a non ritornare in sede, d’accordo con il capofamiglia che, da sempre, invece di spiegare l’accorgimenti tecnicopratici dei vari gadget elettrodomestici diavolerie di casa, se la cava bofonchiando un “per forza! quando ci mettete voi le mano, non funziona gnente!”. beccato or ora – orrore! – a porchizzare in direzione del tasto pupù, appresso a pipì che, nonostante la maschia e prorompente vitalità dell’impulso impressovi, ha continuato imperterrito a fornire acqua non richiesta.
che se ero io, mi beccavo uno sbuffo e un’aria di pietosa malcelata sopportazione.

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il grande scoglio è il passaggio dalla teoria alla pratica (di scrittura) con lo stramaledettissimo saggio breve/articolo di giornale, la perdurante c***** pazzesca dell’esame di stato. le ho provate tutte e tutte di testa mia in questi quindici anni. non è morto nessuno. da alcuni anni mi regolo così e così anche diversi colleghi: tutta la terza solo analisi del testo, dalla quarta introduzione – che già la parola – graduata del saggio-articolo. a volte do qualche passo di teoria da studiare, tanto per ricavarne indicazioni da discutere, a volte no. i ragazzi fanno domande a cui per rispondere mi costringono a innumerevoli peripli fitti di esempi. una domanda onnicomprensiva di tutte le possibili difficoltà (e di conseguenza la risposta rischiava di essere lunga come il restante anno scolastico) è stata questa: “come facciamo a strutturare un testo da espositivo ad argomentativo, perché tipo non è che se scrivo di machiavelli e guicciardini su virtù e fortuna, arrivo io, e argomento chissà che tesi” . bella domanda. il rischio delle definizioni! allora ho provato a dire che l’argomentazione non è cavar fuori chissà che travolgente ragionamento innovativo, ma far collidere quelle quattro acche che vengono fornite, cercando di sostenere un ragionamento coerente e coeso (altra parola insopportabile: coeso). dico: è la veste, l’involucro che tiene insieme considerazioni e citazioni testuali, l’occasione fittizia che intelligentemente uno si crea ex-post facendola passare per ex-ante. mi sono venute in mente quelle belle recensioni di film, di libri, di film e libri, così per niente recensioni, che scriveva beniamino placido che aveva il “dossier” (come chiamano la mappata di fogli con pezzettoni di testi che danno ai poveri studenti, supponendo che non sappiano nulla attorno ad un dato argomento) tutto dentro di sé. hanno capito per lo meno questo.
“esempi concreti?”. dico: cercate alla voce beniamino placido e vedete se scappa fuori qualcosa. poi ho pensato a certi blog a cui ho partecipato anch’io. poi ancora ho dato due o tre nomi perché vedano in concreto come, in tremila battute, anche meno (meno! meno!) si può partire da una situazione reale (un incontro, un discorso carpito al bar, al supermercato), che può risultare realissimo anche se costruito ad arte, poco importa, e incastonarci delle riflessioni letterarie, ma anche d’altra natura, per inferenza inversa, quasi. mi è venuto in mente “the wolf of wall street”: perché, a proposito di “virtù e fortuna” non farne una recensione e mettere in filigrana il pensiero di machiavelli e guicciardini?
ma una che deve fare di più? a volte mi faccio sinceramente pena, se penso che alcuni di questi poveretti continuano a non saper ideare, a scrivere in modo spoglio, elementare anche un microsaggio di approfondimento su un autore, privo di vincoli e invenzioni posticce, infarcendolo di errori sintattici e lessicali. te lo do io il saggio breve.

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questa sera è andato in scena il più stalinista di tutti: un vero, pienissimo, compatto, opaco stalinista

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le vecchie volpi, che si spacciano per agnellini, sanno perfettamente che, alla bisogna, so essere vecchia volpe anch’io.

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ieri pensavo ad una cosa semplice semplice, ad un’idea politico-economica da pianerottolo, da baretto all’ora dello spritz, se volete al secondo spritz. ho pensato questo: quando giudico negativamente due studenti, diciamo sul quattro, di cui uno si è sforzato di studiare, ha avuto un atteggiamento umile, gentile, l’altro, furbetto, non ha studiato, ha fatto assenze strategiche, sempre con su un’aria strafottente, è naturale che, dove posso, aiuterò il primo ad andare avanti, mentre al secondo lascerò il suo votaccio… no?
ecco, bene. perché mai, in questa congiuntura economica, un paese già antipatico, in europa, come il nostro, incapace di liberarsi del fardello berlusconi dovrebbe trovare solidarietà, specie da parte della germania della merkel, definita dal grande statista, “culona inchiavabile”? quando la angela va agli scrutini, niente niente che abbiamo qualche insufficienza, a noi ci boccia, ci cancella, come è vero che è cancelliera.

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ho letto una recensione di “Resistere non serve a niente”  di W. Siti molto più bella della mia  (il tipo, che conosco bene, ci sa fare: e saprebbe fare anche di più, se solo non fosse così… così…). bene: collima su molti punti, tranne che sulla “riuscita” dell’idea di fondo e sulle capacità espressive di Siti, che a me, mi ripeto, paiono molto spente (ma io non sono una scrittrice e quindi non ho pegni da pagare a nessuno: posso dire quello che mi pare, ovviamente non a ca…so, mentre gli scrittori italiani che recensiscono scrittori italiani mi mettono sempre in sospetto: sarà la sindrome della casta, che vi devo dire). mi è piaciuto scoprire che anche quel recensore ha utilizzato la categoria del realismo impossibile, che a me era venuta in mente mutuandola da Alfonso Berardinelli. noi vecchie sciurette e profie de sticazzi, con la nostra finta propensione al finto scambio culturale, ancorate come tenie alle interiora, edere alle recinzioni (eheh), ostriche allo scoglio delle nostre crociane convinzioni, ci becchiamo, alla fin fine. si credessero che a scuola insegniamo cazzatine. tz

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da vecchia
voglio lagnarmi sempre e non ascoltare mai le lagne altrui
voglio stare bene ed inventarmi malattie e farmi compatire
voglio bistrattare tutti e avere accanto un minaccioso bastone da passeggio
voglio mangiare dolci soprattutto se me li vieteranno
voglio andare là e subito dopo no di là e poi ancora no lasciami qui
voglio mettere le gonne non quegli stupidi pantaloni comodi
voglio stare a casa mia oppure a casa tua ma non in case arzille
voglio un badante di trentacinque anni

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