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Archive for the ‘poesiasifaperdire’ Category

la domenica è in questo guardare
è nel perdere tempo
nella gioia sottile
del vuoto delle ore
è il fuori dai vetri
che mi sfugge ogni giorno
la terra smossa nei vasi di fiori
spiarne curiosa la crescita stenta
non cala il tenore del mio stare
al mondo che continua a girare
sono solo più attenta
alle cose da niente
che quelle importanti mi azzanneranno
comunque e dovunque
tutto il tempo dell’anno

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ne avrei da dire
ma non le dico affatto.
ti è morto il gatto?

mi rendo conto
con grande rammarico
d’essere buona

che soo dimo affà
fàmolo ssoo sapemo
ch’avemo affà

questa mattina
ho bisogno di miti:
il vuoto attorno

langue la lingua
non batte dove il dente
duole: lo lecca

guardinga aspetto
una rivelazione
un dar di petto

vigile sempre
attenta ad ogni fatto
ma non urbana

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i vincitori li fa il carro
e quelli che sul carro
saltano veloci
poi bisogna remigare
e sgomitare e spingere
e urlare e esserci sempre
e indignarsi quanto basta
e dire la cosa ovvia
ma non troppo e fingere
costernazione ma vera
mostrarsi un passo avanti
esercitare il lessico
darsi una grammatica
di originalità una sintassi
scarna limpida essenziale
parlare per aforismi
in velocità
vincere facile ogni giorno
avendo un tornaconto
che non sia facile a vedere
che faccia illudere di avere
un guru-guru una guida.
una guida o un giuda:
una paronomasia.
[le sciocchezze son dettagli
l’importante è che li abbagli

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adynaton

fossi nata in un tempo
diverso dal mio, dal nostro,
sarebbe stato un tempo antico
medioevo o rinascimento:
quei begli abiti fruscianti
mille colori sgargianti
inchiavardata dentro
la femminilità.

fossi nata in un tempo
diverso da questo
avrei vissuto a lungo
cinquantasei anni
o sarei morta di parto
o avvelenata dai fumi
dei colori brillanti
o nei campi violentata
da soldatacci di ventura
sgozzata per bravura:
e sarebbe sembrata
una fatalità.

fossi nata in un tempo
rabbioso qualunque
uguale al mio, al nostro,
non avrei contato meno
di quanto conti adesso:
poco è cambiato della donna
misurandone il destino
nel tempo [con le spalle
al sole, in controluce]
nell’immensità.

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da vecchia
voglio lagnarmi sempre e non ascoltare mai le lagne altrui
voglio stare bene ed inventarmi malattie e farmi compatire
voglio bistrattare tutti e avere accanto un minaccioso bastone da passeggio
voglio mangiare dolci soprattutto se me li vieteranno
voglio andare là e subito dopo no di là e poi ancora no lasciami qui
voglio mettere le gonne non quegli stupidi pantaloni comodi
voglio stare a casa mia oppure a casa tua ma non in case arzille
voglio un badante di trentacinque anni

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mi sento come una vecchia mutanda

ascellare sfilacciata, con l’elastico

molle, usurata dai troppi lavaggi

a 90° con il napisan.

di quelle color cannella,

postbelliche, da uomo,

con la feritoja per l’attrezzo.

credo che oggetto più deprimente

non si possa immaginare.

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e niente: sono partigiana.
[mi voglio bene volendomi
molto male]. non sopporto
a priori tizio né caio
non gli do possibilità
d’appello. a priori amo
quello che dice sempronio
e checco. non è così
che si fa critica letteraria,
andiamo! ma che sono,
critica, io?
una criticona, e basta.
altri facciano
valutazioni
classificazioni
apprezzamenti
obiettivi
dall’alto della loro
impietrita divinità.
[si] facciano, per dire,
sssssst! pubblicità.
io per me amo
i libri che riescono
agli erbosi fossi
dove qualche sparuta
anguilla…
ma che dico?
e tuttavia
avete capito.

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mattino

è ora di andare
a fare cose serie
cose vere
mica scrivere
che non è
un mestiere
il mestiere di scrivere

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leggere scrivere far di conto
ad ogni età il suo livello
parlare un paio di lingue
per non morir di fame
e non perdersi nella nebbia
delle metropoli del nord
bocciare gli asini scartavetrare
i pigri aiutare i migliori
ad esserlo davvero
senza malagrazia senza fretta:
a ciascuno il suo.
gli investimenti ministra falli
senza fallo non in mezzi tecnici
ma in aule sane e studenti
che facciano gli studenti
che abbiano ansie e timori
nella riuscita e soddisfazioni
a ben fare. che sia vietato
il cellulare! che il lunedì sia
occupato a raccontare
la domenica: come si faceva
alle elementari. chi è andato in bosco
chi al castello chi a vedere la tempesta
del giorgione o una vera
cosa ha provato cosa ha pensato
che ne scriva una poesia ne faccia
un disegno un saggio un report.
dal martedì a testa bassa
come in un monastero a scrivere
studiare pensare e pregare
che tutto vada bene con la vergogna
nella cartella e la gratitudine
spalmata sul panino a merenda.
non sarebbe così tremenda
la mia scuola: sarebbe scuola.
non parcheggio non parco
dei divertimenti non gogna
non calvario ma un eterno
seminario senza preti
con piantine che spuntano
dove prima c’erano sassi.

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è un sottile piacere
essere sconosciuta
alle amiche sincere

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