Accade ogni volta così: che vagolo irrequieta e penso
“stai ciondolando per casa” o “stai perdendo tempo” e
“datti una calmata” o “ma quale angoscia?”.
Andrà esattamente così:
girerò, mangiucchierò, ai richiami risponderò
“non posso” , “ho da fare”, “adesso vengo”.
Conosco quell’irrequietezza, quel peso
ora nello stomaco ora nella testa ora nella gola
e prima o poi, anche se non ci credo,
anche se non le vedo, anche se un disturbo
potrebbe mandare tutto in niente,
so che le parole che vogliono uscire, si affolleranno
tutte in un punto. Verso quel punto se mi allungo
colgo voci borbottii sibili raschi. Si schiariscono
e gorgheggiano – credono che tocchi a loro, le liriche –
altre ridacchiano, provano le capriole e le smorfie:
le comiche sgomitano su tutte. Ma mentre quelle,
deluse, tornano piangenti nell’angolino, da cui rare
le traggo, queste mi fanno ridere e mi tentano:
sanno come fare, le attrici consumate.
Le une e le altre sanno – e non si spiegano com’ io faccia
a preferire quelle scialbe male in arnese rimpannucciate
signorine – che passeranno solo le grigie parole
senza lustrini, senza ombre fascinose, che senza parole
mi sogguardano un poco, incredule e ritrose. Poi ordinate
si dispongono al pietoso ufficio, di sgravarmi del peso
di dire: che oggi un po’ le intriga, perché il grumo dei versi
da sbrogliare parla di loro, le parole che sciolgono i miei
nodi sono il nodo stesso: ho bisogno di
una poesia riconoscente
povere care, che ogni volta mi aiutano
a digerire quelle quattro idee balzane!
Ora, tutte schierate, possono leggere il disegno
che hanno fabbricato. Non ci sono coccole aulenti
e volti silvani, né aquiloni né suorine – com’era bello allora!
Borbottano, indignate: si sono accorte, le disperate,
che si sono da se stesse definite
scialbe male in arnese rimpannucciate
signorine: “La prossima poesia fattela da te!”
Ma dove andate, care fruste parolette mie,
dove…
Lucy, tu lo sai , sono un pover’uomo, ma questo tuo modo di sbrogliare la matassa mi ha fatto secco in quarantuno righe da
-Accade a dove….-
( cosa darei per avere una manciatina delle tue “signorine”).
Un bel ciao per ora.
tu sei un amore, e hai l’amore al posto delle mie signorine. fai parlare lui, sarà sicuramente ancor meglio!
grazie!
Le une e le altre sanno – e non si spiegano com’ io faccia
a preferire quelle scialbe male in arnese rimpannucciate
signorine – che passeranno solo le grigie parole
senza lustrini, senza ombre fascinose, che senza parole
mi sogguardano un poco, incredule e ritrose. Poi ordinate
si dispongono al pietoso ufficio, di sgravarmi del peso
di dire: che oggi un po’ le intriga, perché il grumo dei versi
da sbrogliare parla di loro, le parole che sciolgono i miei
nodi sono il nodo stesso…
Mi hai portato alla mente Ruzante, quando scrive nel prologo della Piovana, che userà i vestiti dei morti per farne abiti dei vivi, e poi parla anche di legni.In fondo anche noi facciamo così, prendiamo quello che sta in navigazione perpetua, dentro un alto mare,una burrasca, quel temporale che anch’io ho detto di tenere in bocca.
Ciao Lucy.f
l’ho letta qualche giorno fa, ferni. e mi ci ritrovavo. volevo lasciarti due parole che ho scritto, sempre su questo tema, a cristina bove. le ho ritrovate.
ciao, ferni.
eheheh… mi piace?
DI PIù!!!
Dove sono le parole scritte a me?
Vorrei rileggerle.
Intanto mi coccolo queste:
“… Borbottano, indignate: si sono accorte, le disperate,
che si sono da se stesse definite
“scialbe male in arnese rimpannucciate
signorine”. “La prossima poesia fattela da te!”
Ma dove andate, care fruste parolette mie,
dove… “
erano queste, cri:
…
sapevo anche prima
ma non sapevo queste cose
il buio, la solitudine, l’estraneità
non così forti, non così paralizzanti
non echi che ti sconvolgono il sonno
e quasi la ragione
poi viene il muro bianco
l’incapacità di dire
poi il foro miscroscopico nella massicciata
poi la crepa
poi la valanga
e tutto passo passo
è dolore ma anche gioia
che si coagula con tutto
l’altro dolore
che è di tutti
o di alcuni, almeno